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Foto monastero

Icone: tecnica

 

La fase pittorica

Dopo la doratura, una buona fase di asciugatura e l’eliminazione dell’oro eccedente, si può cominciare a dipingere.

 

Emulsione all’uovo e pigmenti
Si versa in un bicchiere un tuorlo d’uovo interamente liberato dall’albume, che rischierebbe di fare screpolare il colore; si aggiunge vino in proporzione 1 a 3 e si mescola bene, unendo anche qualche goccia di essenza di lavanda (per evitare il deterioramento dell’emulsione). Essa deve essere ben agitata e conservata in un barattolo ben chiuso. Servirà da legante per i colori.
I colori fondamentali nell’iconografia sono le terre (cioè colori minerali) e i colori organici naturali. I colori artificiali sono impiegati solo in via secondaria.
Così come per la composizione ed il disegno l’iconografo non si attiene che al significato di ciò che raffigura, per i colori egli si regola unicamente in base ai principali significati simbolici per le vesti dei personaggi e, naturalmente in base ai dati della realtà (per esempio, i capelli scuri o grigi).
I colori sono polveri finissime legate con l’emulsione all’uovo diluita preparata in precedenza. (…) Questi colori rappresentano una materia pittorica estremamente preziosa e comoda. Essi permettono di lavorare per tocchi più densi, come per velature più diluite, e anche di combinare queste due modalità nelle loro infinite varianti. Asciugano velocemente come l’acquarello e questo consente un lavoro rapido; tuttavia non si cancellano altrettanto facilmente, la loro solidità aumenta con il tempo e resistono molto meglio dei colori a olio o all’acquarello alla decomposizione chimica causata dalla luce.

 

Campiture, ombreggiature e luci
La realizzazione di un’icona si effettua per fasi, secondo ben definite procedure.
Per cominciare, tutta la superficie dell’icona è coperta con i toni locali di base senza alcun mezzo tono né ombreggiatura.
Campitura
Sopra questo tono di base, per rispettare la struttura grafica della composizione, si riprende il disegno seguendo la traccia della punta fine con colori più scuri dello stesso tono. Per tutte le parti eccetto che per i volti, vale a dire per le figure, i paesaggi e ogni altro elemento, si impiega uno di questi due procedimenti: o si fanno le ombre con i colori molto liquidi, senza toccare le zone illuminate, oppure il tono di base serve come parte scura e si dipingono le zone illuminate per strati successivi sempre più chiari e sempre più piccoli, sfumandoli dal lato dell’ombra (foto 039).
Luci
Si procede con colori liquidi applicati in strati trasparenti, che si chiamano plav’. Questo procedimento esige molta abilità ed esperienza, poiché bisogna tener conto di tutti gli effetti, positivi e negativi, del modo in cui un tono traspare sotto l’altro (cfr. Leonid Uspenskij, La tecnica delle icone in L. Uspenskij, V. Losskij, Il senso delle icone, Jaka Book, p. 63) (foto 039bis).
Luci

Gli incarnati
Il principio iconografico di creazione delle forme pittoriche differisce sostanzialmente da quello della pittura ad olio. La modellatura del volume procede dagli strati più scuri fino a quelli più chiari. Tutto il lavoro comincia con la copertura della superficie con toni scuri, con graduali schiarimenti negli strati successivi che fanno emergere le parti in rilievo. Un fondamentale procedimento tecnico della raffigurazione delle parti scoperte del corpo - il volto, le mani e i piedi (la scrittura “ličnaja”) - era il metodo del sankir, descritto nei manuali iconografici graci. Prokladka (in greco Proplasmos) è il nome del fondo di incarnato che serve come base per le seguenti fasi che modellano le forme.


Dapprima la zona destinata per l’incarnato veniva ricoperta con un colore di terra bruna di tonalità verde scuro: il sankir (come è chiamato negli originali russi).
La sua tonalità variava a seconda dei luoghi e tempi di creazione dell’icona. Per esempio, a Bisanzio, soprattutto le opere nate nella capitale si distinguono per il caratteristico colore olivastro freddo del sankir.
Le opere “di provincia” spesso si distinguevano per una tonalità di colore “terra bruna” (per esempio nelle icone di Pskov) oppure, al contrario, per una tonalità di colore rosato chiaro (come nelle icone di Cipro).
Sankir
Lo strato di sankir serviva non soltanto come base per gli strati successivi, ma fungeva anche da ombra nei luoghi più scuri e più scarsi di illuminazione: l’ovale del viso, le orbite degli occhi, la radice del naso, la parte in ombra del naso, le zone intorno alla bocca.
Quindi con diversi strati (in greco glikasmos e in russo okrenie) si completava la modellatura del volume, per cui ogni strato successivo era più chiaro e più stretto del precedente ed era dato solo nelle parti del viso più sporgenti, e quindi più illuminate. Di questi strati ce n’erano molti, per cui la loro successione era rigidamente calcolata, visto l’effetto ottico dato alla pittura e che passa attraverso ogni strato di “luce".
Incarnato

Le ultime ricerche tecnologiche sulla realizzazione della scrittura degli incarnati hanno mostrato che i maestri bizantini e russi, già nei primissimi tempi adottavano ampiamente i “laghi di colore” (pittura a laghetto), con cui venivano stesi i singoli strati dell’okrenie. Questo creava un ulteriore effetto ottico di un corpo vivo, spirituale.
Il processo di modellatura del volume sulle parti sporgenti illuminate si completava con un colore carnicino estremamente chiaro, con delle lumeggiature pallide e con arrossamenti cinabro (con una mescola di cinabro, ocra chiara e biacca). Passate sopra tutti gli strati precedenti davano un rosso delicato anche sulle parti non illuminate, dando così l’effetto di un’ombreggiatura calda, che alla fine rinforzava la forma pittorica dell’incarnato, aggiungendole un aspetto vibrante ed espressivo. Le parti pittoriche in ombra erano lasciate del colore del sankir, a volte anche rinforzando con un’aggiunta di sankir e di rosso scuro le linee di contorno (sulla palpebra superiore, agli angoli degli occhi, nel contorno del naso).
Le parti più sporgenti erano ulteriormente marcate con i “tratti vivi”: dei sottili tratti bianchi che seguono le forme e che si trovano in corrispondenza ai punti dove batte la luce, dati con la biacca quasi pura.

 

Asist
Le zone dei panneggi che toccano il corpo trasfigurato del soggetto rappresentato nell’icona lasciano emergere la luce attraverso le zone illuminate dei colori degli abiti e a volte addirittura con delle rifiniture dorate.
L’asist, raggi di luce divina che attraversano i vestiti del Cristo o dei santi, è realizzato con la stesura di sottili raggi, ripassati di colla (o aglio spremuto) ai quali si applicano le foglie d’oro.
Asist

Dall’ombra alla luce
C’è un significato proprio di tale metodo, strano agli occhi di una persona dei tempi moderni, per realizzare la “scrittura” di una icona, in cui l’artista passa dallo scuro al bianco. Come notano tutti gli antichi manuali, l’iconografo non scriveva, non componeva, ma “scopriva” l’immagine, rendendo visibile ciò che già esisteva, ma era invisibile; per questo egli sempre cominciava dal “niente” - dal caos e dal non essere - dalle tenebre, cioè dai toni più scuri, invisibili e indefiniti, e gradualmente si muoveva verso la luce, schiarendo l’immagine fino alle ultime luci bianche – bagliori della luce divina.
In questo modo egli seguiva i comandamenti evangelici e la rivelazione divina: “Dio è luce, e in Lui non ci sono tenebre” (1Gv 1,5), “Le tenebre stanno diradandosi e già appare la luce vera” (1Gv 2,8), “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore” (Ef 5,8) (cfr. I. A. Šalina, La tecnica dell’icona e il suo simbolismo, traduzione dal russo in “Ubrus” n°4).

 

Iscrizione e finiture
Si completa infine l’icona con le necessarie iscrizioni e si lascia asciugare per più giorni.
Iscrizione del nome