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Foto monastero

Icone: tecnica

 

Il disegno

Il disegno

 

Nell’iconografia, come in qualsiasi altra tecnica artistica, si adoperavano disegni preparatori. L’uso di schizzi o modelli da sovrapporre sul bianco del levkas è un fenomeno molto tardivo, che testimonia l’estinzione delle antiche tradizioni iconografiche e la modernizzazione dell’icona.

 

Gli antichi maestri - come testimonia una lettera di Epifanio il Saggio a Cirillo di Tver’ (attorno al 1415), che descrive al suo destinatario l’opera di Teofane il Greco e degli iconografi suoi contemporanei  - potevano avere davanti agli occhi le icone dei loro predecessori come “modelli” a cui fare riferimento per ripetere ciò che avevano visto.

Il largo uso, dalla fine del XVI secolo, ma soprattutto nei secoli XVII-XIX, di disegni cartacei era in larga misura un processo scolastico, il tentativo di conservare gli antichi canoni e le tradizioni. Soprattutto amavano usarli gli Staroobrjadcy (“Vecchi credenti” setta religiosa del XVII sec), che raccoglievano e collezionavano modelli delle icone antiche, ritenendo che l’uso di questi modelli assicurasse la veridicità delle riproduzioni delle icone.

Nei tempi antichi si usava fare un semplice disegno preparatorio, eseguito con un colore nero molto diluito (a volte verde o anche colorato); tale colore si ricavava intingendo il pennello nella fuliggine diluita con l’acqua. Questa fuliggine era presa direttamente dalla stufa, per cui si preferiva il carbone di una specifica qualità di legno (in Russia la betulla).

Il disegno fatto con la fuliggine poteva essere alquanto semplice e impreciso, anche primitivo, un vago abbozzo della futura composizione. Ma in molti casi esso era estremamente particolareggiato e dettagliato. Spesso l’artista lo delineava aggiungendo tante linee prima di trovare la forma definitiva.

Più tardi, coprendo questo disegno con spessi strati di colore, egli poteva non tenere più in nessun conto il disegno primitivo, cambiando di nuovo la posizione delle figure, la composizione o i singoli elementi.

Osservando i disegni preparatori nello spettro dei raggi infrarossi, ci si può solo meravigliare della libertà interiore e artistica del maestro. Guardando questo “laboratorio interno” alla creazione dell’opera, si possono riconoscere numerosi particolari di paesaggi, drappeggi, addirittura tratti della fisionomia del volti, che sono rimasti assolutamente ignorati sotto il successivo lavoro di colori che ci nascondono la grafia originaria dell’artista. (…)

Purtroppo raramente il disegno sottostante si può vedere ad occhio nudo sulle icone, perché spesso è coperto da numerosi strati di pigmenti colorati sovrapposti. Soltanto nel caso di un’icona antica dalla superficie molto rovinata, oppure nel caso in cui i colori siano dati molto liquidi, si possono osservare frammenti delle linee dell’autore. (…)

Per questo nonostante l’idea diffusa sulla staticità e sulla “copiatura” delle opere d’arte del Medio Evo, si può affermare che il loro principio vivo, plastico e vibrante era determinato al momento dello schizzo del pennello del maestro.

Perché il disegno non si perdesse sotto gli spessi strati di colore, i contorni del disegno venivano incisi sul fondo con una punta, cioè veniva fatta la grafia che definiva i contorni del disegno, i tratti dei visi e i drappeggi. Oggi si può osservare che tanto più è particolareggiata la grafia, tanto più recente è l’icona.
Infatti nell’antichità la grafia era estremamente semplice e “parca”, o addirittura assente! (cfr. I. A. Šalina, La tecnica dell’icona e il suo simbolismo, traduzione dal russo in “Ubrus” n°4).

Il disegno

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