Parola
della
Domenica
24 Novembre 2024 -
Cristo Re dell'Universo - B
Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 19,33-37)
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Il Re della Verità
L’anno liturgico si chiude invitandoci a fissare lo sguardo su Gesù, Re dell’Universo.
Come entrando in una cattedrale paleocristiana, troviamo nel catino absidale l’immagine del Cristo Pantocratore che ci attende, il Signore che tutto tiene nelle sue mani, che governa con giustizia e verrà a ricapitolare tutto in sé. Ed eppure questa immagine così solenne, che ci rivela la meta verso cui tutta la storia e ogni vita è orientata, potrebbe incutere anche un po’ di “timore”, ed essere fuorviante se non fosse “tradotta” e “corretta” da un’altra immagine che ci vuole consegnare il suo senso più autentico. Si tratta della rappresentazione di Cristo che siede sul trono e quindi che esercita la sua regalità sull’universo, ma nelle vesti dell’Agnello immolato. In un certo senso è l’immagine che ci consegna oggi il brano di Apocalisse della seconda lettura: Gesù Cristo è il sovrano dei re della terra che ha fatto di noi un regno. Ma la sua “intronizzazione” verrà descritta in Ap 5 dove a salire sul trono è un “Agnello, come immolato”: è Re e Signore proprio perché è colui che amandoci, ci ha amati sino alla fine, fino a morire sul legno della croce per risorgere come “primogenito dei morti”, cioè come primo nato dalla morte, dopo essere passato attraverso la morte, per far entrare nella vita tutti coloro che riconosceranno di quale grande amore sono stati amati (“si batteranno il petto… anche quelli che lo trafissero”).
Ora l’immagine dell’Agnello immolato che regna esprime più propriamente il senso di questa festa e il Vangelo ci aiuta a comprenderne ancora più profondamente il significato.
Infatti il nostro Re, così come lo presenta il Vangelo odierno, è un uomo prigioniero, accusato ingiustamente e ingiustamente condannato, che va verso la sua morte rinunciando a difendersi; mite, inerme, avendo come unica forza quella della Verità (“testimone della Verità”).
È molto interessante che la liturgia tratteggi i lineamenti del nostro Re nel forte contrasto che emerge dal confronto con il potere di Pilato, di fronte al quale viene portato. Il Vangelo di oggi si sofferma solo su una porzione del processo davanti a Pilato, sul dialogo che si svolge all’interno del pretorio fra Pilato e Gesù, fra due modi diametralmente opposti di intendere la regalità. Ne cogliamo alcuni tratti entrando nel testo.
Prima di tutto cogliamo la forza di una dignità regale in Gesù, una forza che viene dalla sua libertà: Gesù è l’uomo che è “venuto nel mondo” per rispondere alla chiamata di un Altro che lo ha inviato. Fin dall’inizio dell’interrogatorio non è chiaro chi stia interrogando chi, perché alla prima domanda di Pilato (“sei tu il re dei Giudei?”) Gesù risponde con un’altra domanda che pone in questione la libertà di Pilato (“Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”, cioè: sei tu che pensi questo o altri ti stanno usando suggerendoti ciò che devi pensare?).
La regalità di Gesù consiste nel “dare testimonianza alla verità”. E la verità, secondo la stessa etimologia del termine, è ciò che non è nascosto, ciò che si rivela ed è affidabile. Gesù è testimone della Verità nel senso che Lui rivela il volto che non può restare nascosto dell’Amore di Dio Padre per ogni uomo. Per questo è “nato ed è venuto nel mondo”: è Gesù stesso la verità (Gv 14,6); infatti è pieno di Verità (Gv 1,14), pronuncia le parole del Padre che sono Verità (Gv 17,17), dice la Verità (Gv 8,40.45.46; 16,7).
Ora Gesù come Re, testimone della Verità, non può che smascherare la menzogna, la doppiezza di Pilato e di ogni potere che si lascia corrompere per preservare se stesso: l’accusa dei capi dei Giudei (Gesù, il Re dei Giudei) andava a minacciare la sovranità di Cesare sulla Giudea e, di conseguenza, il potere esercitato da Pilato.
Ancora notiamo la forza mite e indifesa del nostro Re che prova a spiegare a Pilato che il suo Regno non ha bisogno di eserciti, di servitori che combattano per difendere Gesù. Il Regno di Gesù “non è di questo mondo”, ma non nel senso che appartiene al mondo di lassù (o almeno non in quell’unico senso), ma perché è un Regno che segue logiche rovesciate rispetto ai regni di questo mondo, dove il più forte è chi prevale sull’altro, chi fa sfoggio di forze militari più ingenti, chi ha il più grande numero di soldati da inviare alla morte (e quanto dolorosamente lo vediamo in questi giorni…). Nel Regno di cui Gesù è Re, quando viene un pericolo è il Re a dare la vita perché non perisca nessuno. Gesù è Re in quanto Pastore che è venuto perché le sue pecore abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10) e quando viene il lupo non fugge come il mercenario a cui non importa delle pecore e a cui le pecore non appartengono, ma dà la sua vita per le pecore. Il potere che ha è proprio questo: quello di “dare la vita e di riprenderla di nuovo” (cfr. Gv 10,11-18), è il potere dell’amore che continua ad amare fino all’estremo. Per questo è un potere che nessuno può togliergli.
È il potere del nostro Re, testimone della Verità, ed è il potere di tutti coloro che sono suoi testimoni, i martiri; non solo coloro che hanno dato la vita fino a morire, ma tutti noi che, ascoltando la sua voce, gli apparteniamo, siamo “suo regno” (cfr. Ap 1) e cerchiamo di vivere come memoriale di Lui, il Testimone fedele del Padre.